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La Periferia con le sue storie, le idee, i pensieri e le immagini di un luogo dove non succede mai niente.

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venerdì 18 gennaio 2013

Django Unchained
















Ho letto diverse recensioni, non ho trovato quella giusta ed ecco che arriva quella che nessuno stava aspettando. La mia.

Ora cinque premesse doverose.
1. Della polemica con Spike Lee non me ne frega un cazzo.
2. Come sopra per le polemiche su razzismo e violenza.
3. Django Unchained è uno spaghetti western? Andate a cercare risposte altrove.
4. La più importante. Non starò qui a scrivere una recensione di due pagine facendo il figo ad elencare tutte le fottute citazioni e riferimenti.
5. L'ho visto doppiato in italiano. Perdono.

E ora musica. 
(ci sentite bene, è proprio quella.)
















Django Unchained è l'ultimo film di Quentin Tarantino. Un tipo considerato "genio della settima arte" dopo appena due film. Era il 1994, usciva Pulp Fiction e lui era già Storia del Cinema. Entrato nei libri alla velocità della luce, quasi vent'anni dopo è sempre sulla cresta dell'onda grazie ad un pugno di film marchiati dalla parola capolavoro.
L'evento è servito, così come le discussioni all'uscita del cinema. 
E se non avete una mazza per far tacere tutte quelle fastidiose opinioni, meglio allontanarsi in fretta.
Perché Django dividerà come non mai, troverete fan entusiasti e critici che gridano al capolavoro, non mancheranno i detrattori finalmente contenti e gli esperti delusi pronti a massacrarlo. Pareri all'opposto dove anche io non riesco a trovare un baricentro oggettivo a cui appoggiarmi.

Django Unchained ha momenti straordinari dove Tarantino dimostra ancora di saper creare sequenze memorabili, che si imprimono nella testa di noi spettatori con la forza dirompente di un martello. Purtroppo per il sottoscritto quei momenti sono stati veramente pochi per un film che dura ben 165 minuti.
Questo southern (bella definizione) ambientato nell'America schiavista ad un passo dalla guerra di secessione, è l'ennesimo revenge movie del regista con variazione sul tema. E la variazione così come fu per Bastardi senza Gloria, è la storia. In questo caso la profonda cicatrice dello schiavismo sudista nell'ottocento. 
Una sfida difficile, giocata con il sarcasmo misto ad una cattiveria che solo Tarantino sa creare. In questo Django Unchained è unico e grandioso, in nessun altro film troverete la raccapricciante verità storica con il sorriso dietro l'angolo ad aspettarvi. Niente lezioni o moralismi, tutto esagerato ed edulcorato, eppure rimane e fa male quando deve. Lo fa sopratutto nella parte centrale, dove la storia prende finalmente il volo e vi saprà regalare puro cinema con la C maiuscola. La parte dominata dai cattivi, quella dove Leonardo Di Caprio fa il suo show nei panni del proprietario terriero Calvin Candie, e Samuel L. Jackson ti sfodera l'interpretazione che non ti aspetti e ti manda in visibilio.
Durante la gita a CandieLand Tarantino da il meglio di se, su una storia che diventa tutto ad un tratto piena di tensione; e in un tripudio attori da urlo anche i dialoghi tornano ad essere fluidi e smaccatamente intelligenti. Uomini sbranati, Alexandre Dumas e perfino un teschio in tavola. Sessanta minuti (circa) talmente belli che ti dimentichi quell'inizio zoppicante e un po' spento. Ti dimentichi una trama che fino ad allora sembrava tirata per le orecchie. Ma sopratutto ti dimentichi che ad un certo punto è passato Franco Nero con il cartello "ero l'attore del Django originale". 

Django Unchained è, nonostante quanto appena scritto, il film peggiore di Quentin Tarantino o per lo meno è quello che mi è piaciuto di meno. Un inizio dominato dall'ottimo Christopher Waltz e il bravo Jamie Foxx, che però sbandano nelle pieghe di una trama apparentemente confusa e con diversi tempi morti.  Entusiasmano poco le scorribande del dottore e l'ex schiavo come cacciatori di taglie, e anche i dialoghi sembrano esser soporiferi, il tutto condito da musica su musica esplicitamente autoreferenziale.
La vera delusione è però il finale. L'ultima parte è completamente superflua e scontata; una stanca cavalcata verso i titoli di coda, con passaggi forzati e qualche battuta a rendere meno indolore il tutto. Anche il vostro interesse nella storia calerà drasticamente e non sarà la vendetta al suo culmine a salvare il film da un alone di noia. Senza epica, senza mordente, senza colpi di scena; Quentin Tarantino chiude il suo Django con'inaspettata superficialità indegna del suo talento visionario.

In definitiva un film fra alti e bassi, che potrebbe deludervi e non poco a causa anche delle alte aspettative con cui andrete al cinema. Ma c'è chi ne esce felice come se fosse il film della vita. Quindi andate e vedete.
Il mio voto è uno scarso 6,5.




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